Preghiera Semplice

Preghiera Semplice

O Signore, fa’ di me uno strumento della tua Pace:
Dove c’è odio, fa’ ch’io porti l’Amore.
Dove c’è offesa, ch’io porti il Perdono.
Dove c’è discordia, ch’io porti l’Unione.
Dove c’è dubbio, ch’io porti la Fede.
Dove c’è errore, ch’io porti la Verità.
Dove c’è disperazione, ch’io porti la Speranza.
Dove c’è tristezza, ch’io porti la Gioia.
Dove ci sono le tenebre, ch’io porti la Luce.

O Maestro, fa’ ch’io non cerchi tanto:
Essere consolato, quanto consolare.
Essere compreso, quanto comprendere.
Essere amato, quanto amare.
Poiché è dando, che si riceve;
Dimenticando se stessi, che si trova;
Perdonando, che si è perdonati;
Morendo, che si resuscita a Vita Eterna.

Beato Amato Ronconi

Tra i francescani proclamati santi recentemente c’è ne uno particolarmente importante: si tratta di Amato Ronconi. Egli nasce a Saludecio, in provincia di Rimini, da una famiglia ricca, verso il 1225, non sono infatti note con precisione le sue date di nascita e di morte. Nasce quindi nel secolo di San Francesco, suo contemporaneo, nel mezzo del vasto movimento di rinnovamento nella povertà, cioè il francescanesimo, di cui poi Amato sarebbe stato terziario. Ben presto egli rimase orfano di ambo i genitori, sicché trascorse la sua giovinezza con la famiglia del fratello maggiore, Giacomo. Subentrò però in lui l’odio per la cognata, perché aveva rifiutato un matrimonio che la parente gli aveva predisposto.

Così decise di lasciare la famiglia del fratello e, arrivato sul Monte Orciale, si mise a costruire un ospizio dedicato alla natività di Maria, per poter dare un letto a poveri e pellegrini. Per realizzare tutto ciò, però, Amato dovette donare di nascosto il ricavato delle sue terre e perfino il guadagno che riceveva con il suo lavoro di garzone presso altri agricoltori. La sua vita fu tipica dei penitenti di quell’epoca: ogni giorno si flagellava e si nutriva di pochi legumi, sicché ben presto venne considerato un pazzo dai suoi concittadini, ma soprattutto dalla cognata molto infuriata perché vedeva sciupare la proprietà, che poteva essere sua e di suo marito, finché non esitò ad accusarlo di incesto alle Autorità. Dio, però, dimostrò l’innocenza di Amato con vari miracoli secondo la “Vita” scritta dall’umanista Sebastiano Serico, il quale, in mancanza di documentazioni, poté riportare soltanto le tradizioni orali tramandate dalla sua famiglia.

Comunque altri particolari della vita di Amato si ricavarono dal suo testamento, pubblicato nel volume “Rimini nel secolo XIII°”, edito nel 1862, dove si legge che “l’onesto e religioso uomo, fratello Amato del Terz’Ordine del beato Francesco, proprietario e fondatore dell’Ospedale di Santa Maria di Monte Orciale, presso il castello di Saludecio, fa solenne cessione di quell’ospedale e di tutte le sue proprietà ai Benedettini di San Giuliano e di San Gregorio, in Conca di Rimini, chiedendo, nel contempo, di venire sepolto nella cappella dello stesso ospedale”. Questo testamento porta la data del 10 gennaio 1292 ed è l’unico documento che attesta in quale secolo sia vissuto il Santo in parola, morto intorno al 1300, ma già dagli ultimi anni della sua vita Amato era venerato col titolo di Beato, perché in un documento del 26 maggio del 1304 il legato pontificio Cardinale Francesco di S. Eusebio confermava quella donazione, scrivendo al monaco Salvo “priore dell’Ospedale del Beato e concedeva un’indulgenza a chi visitasse il suo sepolcro. Ma la cappella dell’ospedale dove, secondo il desiderio di Amato, riposava il suo corpo fu danneggiata da un incendio scoppiato nel maggio del 1330, sicché le sue reliquie vennero traslate nella Pieve di San Biagio. Il suo culto fu poi confermato da Papa Pio VI° con il titolo di Beato il 17 aprile del 1776. A Saludecio oggi c’è un santuario dedicato alla sua memoria e la cui festa, secondo il Martyrologium Romano, si celebra l’8 maggio. Il beato Amato Ronconi è stato infine canonizzato da Papa Francesco lo scorso 23 novembre ed è, a tutt’oggi, l’unico santo interamente nostro, cioè del secondo millennio.

Di questo santo ricordiamo l’interpretazione profetica, che non si interessa tanto a ciò che il santo ha fatto, quanto, piuttosto, a ciò che Dio ha detto, ieri come oggi, a noi attraverso la sua vicenda. Insomma, Amato Ronconi come profeta, cioè come messaggero e portavoce di Dio. In questo senso, tutta la vita del “nostro” santo ruota intorno a questo ruvido ma liberante messaggio di Gesù, indirizzato al suo popolo: “Convertitevi, capovolgete mente e cuore, invertite la via, cambiate la vita”. Non perché Amato prima fosse un dissoluto o un criminale, ma perché ha scelto di diventare cristiano, non ha voluto per sé, ricco com’era, un’esistenza piatta e ripiegata, senza un brivido di compassione per Cristo crocifisso e per i tanti crocifissi della Storia. Poteva andarsene, dopo aver incontrato Gesù, come il giovane ricco della parabola, ma lui non poteva farlo, perché si era sentito letteralmente e autenticamente amato dal Signore e a quel punto ha preferito rinnegare il suo “io” vorace e possessivo e ha intrapreso il sentiero delle Beatitudini. Oltre alla profezia della penitenza, anzi, proprio per vivere da vero penitente fino in fondo, Amato ha scelto la povertà e si è lasciato affascinare dall’ideale francescano vissuto dai Francescani del vicino Convento di Monte Orciale.

Il terzo tratto della profezia di Amato è quello del Pellegrinaggio: Rimini, San Marino, Assisi, Roma e, per quattro volte e mezzo, Santiago de Compostella. Amato è stato un vero pellegrino. Questi non è un vagabondo, senza meta né fissa dimora, che vaga solo per il piacere di andare qua e là. Non è neanche un esploratore che va in cerca di nuove terre. E’ un uomo che ha il cuore puntato come l’ago di una bussola, sempre orientato verso il Nord, ed il suo Nord è la Casa del Padre. Ecco la profezia del pellegrino Amato: egli ci ricorda che non siamo dei vagabondi smemorati ma siamo come Gesù dei viandanti diretti alla Santa Gerusalemme per abitare nella Casa del Padre. Perciò la vita è un santo viaggio. Il pellegrino, spoglio di tutto, ha trovato il tesoro, il Regno di Dio. “dio tutto in tutti”, questa è la profezia del nostro santo francescano Amato.

Santa Margherita da Cortona

Margherita nasce a Laviano, in provincia di Perugia, nel 1247, suo padre si chiamava Tancredi e coltivava, con discreto successo, alcuni terreni di proprietà del Comune di Perugia. All’età di nove anni Margherita rimase orfana della madre.

Suo padre si risposò, ma la “nuova mamma” si rivelò per lei una matrigna. A sedici anni conobbe un giovane nobile e ricco, di Montepulciano, passato alla storia come Arsenio, a diciotto va a convivere con lui, che non la sposa, neanche quando lei lo rende padre di Jacopo. Nove anni dopo Arsenio muore assassinato. I parenti di lui scacciano lei ed il bambino, né miglior accoglienza trova tornando dai suoi. Allora Margherita prese Jacopo e, vestita a lutto e lacera, si avviò verso Cortona, decisa ad intraprendere la strada della penitenza, dell’umiltà, della preghiera e del servizio ai più poveri. San Francesco era morto da poco ed il vento del francescanesimo soffiava ancora anche in quegli anni, e Margherita si lasciò trasportare… Infatti arrivò fino al Convento dei Frati, decisa a chiedere il saio della penitenza ed iniziare così, decisamente e pubblicamente, una nuova vita. Il frate guardiano, però, non la pensava allo stesso modo,

perché, secondo lui, l’aspirante alla penitenza era troppo giovane e troppo bella. Dopo tre anni di insistenza, Margherita fu ammessa nel Terzo Ordine Francescano (ora Ordine Francescano Secolare, OFS), vestendo il mantello penitenziale.

Le fu concessa una piccola cella a fianco della Chiesa di San Francesco di Cortona e visse di penitenza durissima, di preghiera e di servizio agli ammalati poveri, visitandoli e curandoli a domicilio, scoprendo così in se stessa una volontà ed un talento di organizzatrice che neppure lei sapeva di possedere. Infatti raduna intorno a sé un gruppo di volontarie (le Poverelle) ed insieme a loro organizza una rete fittissima di carità per chiunque ha bisogno di aiuto. Riesce a contagiare nel suo progetto caritativo le famiglie nobili della zona, che mettono a sua disposizione somme ingenti con le quali, nel 1278, riesce ad aprire il primo ospedale per i poveri di Cortona, l’Ospedale Casa di Santa Maria della Misericordia, ancora esistente, diventando per i malati non solo infermiera, ma anche amica, confidente e, all’occorrenza, anche cuoca e questuante: insomma fa di tutto per chi non ha nulla, neppure la salute. L’assistenza è assicurata dalla Confraternita delle “Poverelle” e dai Mantellati, per la quale aveva scritto gli Statuti, di chiara impronta francescana, ed alla quale, soprattutto, offre la testimonianza della sua nuova vita interamente votata ai più deboli.

Ma Margherita scende anche in piazza, quando è necessario, per pacificare gli animi e per rasserenare il turbolento clima politico del suo tempo, ma soprattutto ella si dedica ad una intensa preghiera e ad una grande penitenza che la portano alle più alte vette della mistica, nella Rocca sopra Cortona, dove aveva ricavato una piccola cella in cui vive gli ultimi anni in meditazione e solitudine, nella contemplazione della Passione di Cristo. Lei non scrisse niente, ma le sue esperienze spirituali (visioni e dialoghi con Gesù) furono riportate dal suo biografo e confessore francescano Frà Giunta Bevignati. Margherità morì il 22 febbraio del 1297, ad appena cinquant’anni. Ci vorranno però più di quattro secoli prima che la Chiesa la proclami santa, esattamente nel 1728, ad opera di Papa Benedetto XIII°.

Margherita da Cortona è una figura molto importante per l’Ordine Francescano Secolare e per la spiritualità francescana, tanto che è chiamata la Terza Stella del Francescanesimo, dopo Francesco e Chiara.

Venerabile Antonio Alonso Bermejo

Antonio Alonso, terziario francescano, nacque a Nava del Rey, Valladolid, il 29 gennaio del 1678. In castità visse nella penitenza più stretta e sotto la guida del suo confessore, un intenso percorso d’ascesi spirituale. Fu pellegrino a Roma ed alla Santa Casa di Loreto ed al suo ritorno a Nava del Rey, a proprie spese, in accordo col fratello, trasformò un primitivo ospizio risalente al XIV° secolo in un moderno ospedale dedicato a San Michele Arcangelo qual’è giunto fino ad oggi, al cui mantenimento lasciò ogni suo avere. Attento non solo alle ferite fisiche ma anche a quelle spirituali, non solo fu infermiere, ma promosse delle Confraternite e le devozioni alla Madonna del Carmelo e del Calvario. Presso l’Ospedale di San Michele Arcangelo Antonio Alonso si adoperò alla costruzione di una chiesa che affidò ai Padri della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri e presso il cui Tabernacolo, ospizio di Cristo sacramentato, anziano e malato, trascorse in preghiera gli ultimi anni della sua vita terrena. Tornò alla Casa del Signore il 14 novembre del 1758. Egli è raffigurato con un giubottino di panno, sopra il suo saio lungo fino alle ginocchia, ed i sandali francescani. Così vestì tutta la sua vita da che entrò nel Terz’Ordine Francescano, ora Ordine Francescano Secolare (OFS).

San Pio

Padre Pio era un sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Nato il 25 maggio del 1887 a Pietrelcina, in provincia di Benevento, fu battezzato col nome di Francesco. Ricevette in famiglia ed in parrocchia un’educazione squisitamente religiosa e sui dieci anni espresse il desiderio di farsi frate. Per consentirgli di seguire la sua vocazione e farlo studiare in privato il padre dovette emigrare in America. Il 6 gennaio del 1903 Francesco entrò nel noviziato cappuccino di Morcone, prendendo il nome di fra’ Pio. Dopo sei anni di studi, compiuti in vari conventi, tra continui ritorni al suo paese per motivi di salute, fu ordinato sacerdote nel Duomo di Benevento il 10 agosto del 1910. Dopo varie vicissitudini, dovute alla sua salute malferma, nel 1916 fu inviato a San Giovanni Rotondo, sul promontorio del Gargano, in Puglia. Il 20 settembre del 1918 ricevette il dono delle stimmate nelle mani, nei piedi e nel costato. Questo fatto prodigioso richiamò folle da ogni regione italiana e dall’estero e suscitò inquietanti problemi nella scienza e nella Chiesa. La Santa Sede lo sottopose a numerose inchieste per accertare l’autenticità del fenomeno e la sua personalità, disponendo anche, in alcuni periodi, provvedimenti restrittivi del suo ministero. Nei cinquant’anni trascorsi da allora,

nonostante le grandi folle intorno a lui, la vita di Padre Pio rimase nella sostanza sempre uguale, una routine massacrante fatta di Messe, confessioni, incontri con fedeli bisognosi della sua guida. Confessore eccezionale e forgiatore di anime, pregava molto ed esortava a pregare. Numerose le conversioni dalla miscredenza e da una vita immorale. Morto in concetto di santità il 23 settembre del 1968, dopo il regolamentare percorso del processo canonico, il 18 dicembre del 1997 è stato proclamato venerabile da Papa Giovanni Paolo II°. In seguito a numerose grazie ottenute per la sua intercessione, il 21 dicembre del 1998 il Concistoro della Santa Sede, con l’approvazione di un miracolo avvenuto per intercessione di Padre Pio, decretò la sua beatificazione, avvenuta il 2 maggio del 1999 in Piazza San Pietro, alla presenza di un’enorme folla di fedeli. Infine il 28 febbraio del 2002 il Concistoro, con il riconoscimento di un miracolo, decretò la canonizzazione di Padre Pio, che ebbe luogo il 16 giugno dello stesso anno. “Guardate che fama ha avuto, che clientela mondiale ha adunato intorno a sé. Ma perché? Forse perché era un filosofo? Perchè era un sapiente? Perchè aveva mezzi a disposizione? Perchè diceva la Messa umilmente, confessava dal mattino alla sera, ed era, difficile a dirlo, rappresentante stampato delle stimmate di nostro Signore. Era un uomo di preghiera e di sofferenza”. Queste le parole di Papa Paolo VI° espresse tre anni dopo la

morte di San Pio, che presenta come “epifania dell’amore crocifisso” teso a donare la sua vita perché quanti andavano a lui potesssero ritrovare la gioia dell’incontro con l’amore di Dio che salva. La grande opera di Padre Pio, la Casa Sollievo della Sofferenza, è il frutto di un disegno della Provvidenza che sempre sa piegarsi, curare e sostenere il sofferente, il povero e l’ammalato. Inizialmente l’idea di un ospedale da realizzare su un territorio roccioso come quello garganico, in una zona arida e povera, apparve come il progetto di un utopista che amava sognare. La Fede, invece, è riuscita a sbancare la montagna, permettendo così di realizzare quella “clinica” che Padre Pio aveva tanto desiderato, sì da definirla “”la pupilla dei miei occhi”. In parallelo all’ospedale, Padre Pio volle i Gruppi di Preghiera, sorti in vista dei bisogni spirituali per la realizzazione del Regno di Dio attraverso il ministero dell’intercessione. Ospedale e Gruppi di Preghiera sintetizzano bene le parole pronunciate da Padre Pio nel giorno dell’inaugurazione di Casa Sollievo: “Luogo di preghiera e di scienza dove il genere umano si ritrovi in Cristo Crocifisso come un solo gregge con un sol pastore”. La ricerca scientifica, le attività editoriali, la residenza per anziani “Casa Padre Pio”, il Centro di Accoglienza “S. Maria delle Grazie”, Casa San Francesco, il Centro di Spiritualità “Cenacolo Santa Chiara” rappresentano gli altri frutti dell’insegnamento di San Pio, realizzati nel tempo da coloro che ne hanno raccolto l’eredità spirituale e materiale. Non si arrivò, comunque, tanto facilmente, alla costruzione della Casa Sollievo della Sofferenza. Infatti Padre Pio, colpito da tutte quelle persone che lo supplicavano, molti dei quali malati, aveva cominciato a pensare di costruire qualcosa che potesse soddisfare i bisogni dei malati. Il risultato di questo suo spirito di carità fù l’Ospedale Civile San Francesco, una piccola struttura ospedaliera che disponeva di pochi posti letto, ma attrezzata con due sale operatorie. Questa iniziativa, però, fallì quasi subito per il disinteresse di chi avrebbe dovuto gestirla e per una combinazione di eventi sfortunati, tra cui il terremoto del 1938 che distrusse quasi totalmente l’ex convento che ospitava il piccolo nosocomio. Intanto, però, Padre Pio andava maturando la sua idea originaria di un sollievo della sofferenza da attuare con un nuovo ospedale da costruire nei pressi del convento, unendo le cure mediche del corpo a quelle dello spirito: La Casa Sollievo della Sofferenza. Nata nelle parole e su appunti di carta il 10 gennaio del 1940 nella sua cella con alcuni dei suoi figli spirituali, tra i quali Guglielmo Sanguinetti, Mario Sanvico, Carlo Kisvarday, John Tellener, Ida Seitz, Angela Serritelli , Cleonice Morcaldi, con un fondo cassa di soli quattro milioni di lire, la costruzione iniziò subito dopo la sospensione forzata per gli eventi bellici, sulla base del progetto di Angelo Lupi, un uomo abruzzese di grande genialità che non era né ingegnere né geometra, ma autore di un progetto piaciuto a Padre Pio, che lo scelse tra altri indicando anche il luogo dove l’ospedale, allora chiamato “clinica”, doveva sorgere: la montagna vicina. Fu necessario uno sbancamento massiccio della dura roccia garganica, con l’arruolamento di centinaia di operai reduci dalla guerra e venuti dai campi animati dalla volontà di lavorare all’erezione di quell’Opera che appariva a tutti come un dono della Provvidenza, nato dalla spiritualità e dal grande sentimento di carità di Padre Pio. Come sostegno di quell’azione cristiana volta ad alleviare le sofferenze, nascono in parallelo all’Ospedale i Gruppi di Preghiera, un movimento spirituale laicale, diffuso in tutto il mondo, che trova il suo carisma fondamentale nella preghiera di intercessione. Casa Sollievo della Sofferenza fu inaugurata il 5 maggio del 1956 come clinica privata di 250 posti letto, con le branche fondamentali di Chirurgia e Medicina Generale, Ostetricia e Ginecologia, Pediatria, Radiologia, laboratori per esami clinici, Ortopedia e ambulatori.

Da quel giorno l’Ospedale ed i Gruppi di Preghiera rappresentano il fulcro di un programma di sviluppo che, ispirandosi alle linee generali ed ai principi da lui indicati nei discorsi pronunciati in diverse ricorrenze dell’Opera, nel tempo ha prodotto, con l’approvazione della Santa Sede, cui Padre Pioha voluto donare la sua Opera, molteplici attività ed iniziative in favore degli ammalati, dei loro famigliari, degli anziani e dei bisognosi in genere.